La prova del DNA nel processo penale

L’esame del DNA può rappresentare una prova inconfutabile all’interno di un processo penale. La giustizia dispone di questo strumento perché riesce ad identificare più facilmente un individuo. Ormai grazie alle tecniche sempre più all’avanguardia può bastare un parte impercettibile di un tessuto biologico, un capello, un lembo di pelle, un po’ di saliva. Gli operatori sono così abili da riuscire quindi ad utilizzare anche una traccia piccolissima per riuscire a dare una prova valida nelle mani degli inquirenti.

Come si esegue un test del DNA

Per valere come prova, il test del DNA deve essere realizzato seguendo un determinato protocollo. In laboratorio attraverso delle sostanze fluorescenti, vengono isolate delle molecole di DNA per poi individuare una sequenza esatta che determina l’impronta genetica di ogni essere umano. La maggior parte delle volte viene isolata la traccia di DNA usando la tecnica del PCR, grazie alla quale si creano infinite copie esatte di DNA utilizzando campioni biologici minuscoli.

In questo modo si crea uno schema: “se corrisponde in almeno tredici punti con quello estratto dal campione raccolto sulla scena del crimine, significa che vi è una coincidenza con un margine di errore infinitesimale”.

Utilizzo del DNA nel processo penale

Come abbiamo anticipato in seno ad un processo penale la prova del DNA è elemento essenziale per velocizzare la risoluzione del caso. È quasi un terno al lotto per gli inquirenti sciogliere i nodi della matassa con estrema facilità, e grazie all’esame del DNA tutto viene velocizzato in tal senso. È per questo che riuscire ad individuare una traccia biologica sulla scena del crimine ed isolarla per poi comparare il DNA rilevato con quello dei sospettato diventa il mezzo più gettonato e preciso per riuscire ad identificare rei di omicidi e sciagure.

L’esame del DNA è ormai di routine in tutte le indagini su crimini a sfondo sessuale o sui delitti contro la vita. Potremmo fare un lungo elenco di responsabili di delitti che sono stati incastrati da una involontaria traccia biologica lasciata sul luogo del crimine o sulla vittima proprio

L’importanza del DNA

Stante ad una sentenza della Corte di Cassazione, ormai il test del DNA ha valore probatorio su tutti i fronti. Anzi, pare anche che se il sospetto rifiuti di rilasciare un campione del suo DNA per la comparazione, il giudice può considerare questo comportamento come prova della sua colpevolezza. Va da sé che l’ordinamento italiano considera determinante in sede di giudizio l’esame del DNA.

Anche perché non esiste praticamente rischio che un test o una comparazione abbia margine d’errore. La probabilità di precisione è  del 99,9%. Non parliamo di compatibilità attenzione: può capitare che una traccia rilevata sulla scena del crimine non corrisponda al DNA del sospettato. Ma parliamo di probabilità che il test dia un falso positivo o un falso negativo. In pratica questo accadrebbe solo un caso su un milione, dal momento che il test si esegue in modo accurato, con un accertamento basato su una serie di sedici prove.

La cosa importante per l’ordinamento italiano, è che sulla scena del crimine siano state prese tutte le precauzioni del caso per il rilevamento dei reperti. Gli addetti della scientifica indossano mascherine e tute e accedono alla scena del crimine per primi. Quando si reperta qualcosa, soprattutto se si tratta di una traccia biologica, il reperto si sistema in un contenitore sterilizzato. Tutto quello che si raccoglie viene filmato e fotografato. Insomma non ci sono rischi che il DNA sia contaminato, che i reperti siano alterati da disattenzione o incuranza.

Ormai il test del DNA fa parte del protocollo indagatore dagli anni Novanta, da quando cioè iniziarono le indagini per venire a capo dell’attentato al giudice Giovanni Falcone.

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